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Giovani VS Vecchi: 1 a 1, palla al centro.


“La generazione nativa degli anni ’80-’90 non sarà mai ricca come i suoi genitori e sarà sempre più povera dei suoi figli”. Molto bene, proviamo a capire cosa vuole dire. Da una parte si parla di difficoltà economiche, dall’altra si parla di confronto transgenerazionale. Si parla di una generazione che non solo deve battersi per arrivare dignitosamente a fine mese – in una società in cui si è più occupati a fingere ricchezza, piuttosto che averla davvero – ma questa generazione deve competere con le altre, perché questa è la generazione dei “bamboccioni”, dei “figli di papà”, di quelli che se possono spendere è perché lo può fare la famiglia, perché, diciamocelo, quanti giovani adulti si possono permettere la casa di vacanza e una macchina propria? È la generazione di chi non sa cosa voglia dire il vero mondo del lavoro e di chi entra in grandi crisi esistenziali appena ci mette piede. Insomma, anche i nostri trentenni sono un po’ dei grandi bambini di cui continuare ad occuparsi per sempre, perché da soli non si è certi ce la possano fare. I nostri nonni, invece, hanno cambiato il mondo, hanno combattuto la guerra, si sono battuti per la libertà, hanno subito atroci torture, grandissime mancanze e sono dovuti diventare adulti quando, in realtà, erano poco più che bambini. Nel giro di 50 anni le generazioni si sono sempre più allontanate e il mondo in cui viviamo non riesce proprio a trovare un contatto e un aggancio tra queste persone che potrebbero insegnarsi tanto e raccontarsi ancor di più. Ma di grandi cambiamenti e differenze ne è piena la storia: dire che bambini, giovani adulti e anziani siano molto diversi tra loro è praticamente un’ovvietà, ma interessante è vedere come ci siano più generazioni anche all’interno di una stessa fascia, che categorizziamo generalmente come “senior”. La sociologa milanese Carla Facchini tiene molto a stare al passo con i nostri “vecchi” e li divide in 3 generazioni: quelli “dell’incertezza materiale”, riferita agli attuali 90enni circa, nati subito dopo la grande guerra e che hanno vissuto la grandissima crisi di povertà per la concreta mancanza di risorse primarie, per cui si andava a lavorare prestissimo, il gioco e l’infanzia non erano nemmeno contemplati e non c’era spazio per niente che non avesse a che fare con i tre grandi pilatsri dell’epoca, ossia la Patria, la Famiglia e la Religione. Poi identifica i “vecchi cerniera”, attuali 75enni circa, coloro che hanno avuto la possibilità di una maggiore scolarizzazione, i cui grandi valori erano ancora gli stessi tre sopracitati, ma che cominciano ad allargare le vedute, per cui c’è la possibilità di vivere una vita che vada anche oltre, si comincia a conoscere il viaggio per piacere e la diversità culturale, che sì, fa paura, ma che in qualche modo affascina. Infine parla della generazione degli adolescenti del ’68, quelli “dell’incertezza identitaria riflessa”, ancora molto giovani per essere considerati oggi “vecchi”, ma già con la consapevolezza di una mente matura che guarda al futuro con un paio di occhiali da presbite e guarda al passato con un binocolo vintage.
Questa è solo un breve accenno alle dinamiche generazionali, ma il tema è sicuramente tanto curioso e interessante, quanto complesso e delicato. Credo che l’inizio di qualsiasi cosa sia in ogni caso accorgersi del mondo che ci circonda, notare alcune sfumature che possono essere lette in maniera davvero contrastante e riflettere su quanto questo dipenda da dove siamo nati, come siamo cresciuti, chi abbiamo incontrato e quanto dipenda da noi, dalla nostra pancia e dalla nostra testa, da quanto vogliamo aprire gli occhi e siamo in grado di metterci vicino alle persone e non davanti o dietro, perché affiancarle può significare avere più possibilità in più di vedere il mondo da quella prospettiva e, perché no, magari scoprire che quel modo appartiene un po’ anche a noi.
E allora proviamo a giocare bene: 1 a 1, palla al centro.